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Fermato dai Carabinieri e lasciato andare | Matteo Messina Denaro, clamoroso retroscena: non lo avevano riconosciuto

L’arresto di Matteo Messina Denaro dai Carabinieri del Ros – foto ANSA – spynews.it

L’incredibile retroscena è stato raccontato direttamente dal procuratore di Palermo: il boss ricercato da 30 anni non era più riconoscibile.

“Tutto sembrava in regola”. Questo hanno pensato i militari che ispezionarono il documento di Matteo Messina Denaro, sottoposto ad un sommario controllo in un posto di blocco nel 2016.

L’incredibile racconto è arrivato direttamente dal procuratore di Palermo che ha condotto le indagini: Maurizio De Lucia. Il boss di Castelvetrano ha vissuto dunque un periodo di latitanza durato 30 anni nella sua terra d’origine (la provincia di Trapani) riuscendo perfino a scampare ad un controllo faccia a faccia con dei rappresentanti dello Stato.

De Lucia ha rivelato l’aneddoto durante un meeting con gli alunni delle scuole di Casal di Principe (Caserta), organizzato in Casa don Peppe Diana, luogo memoriale dedicato all’omonimo sacerdote morto assassinato dalla Mafia il 19/3/1994.

Volanti dei carabinieri
I Carabinieri non lo avevano riconosciuto: la foto segnaletica aveva più di 30 anni (ANSA) – Spynews.it

Cosa Nostra è debole, ma esiste ancora: la rivelazione del procuratore

Maurizio De Lucia ha spiegato, in relazione al mancato riconoscimento, che: “Messina Denaro confidava sul fatto che le forze dell’ordine avevano sue foto vecchie di anni, ma c’era anche chi lo avvisava dei movimenti degli investigatori.” 

E poi ancora, sulla routine del boss mafioso: “Ci dobbiamo interrogare su come sia stato possibile che abbia trascorso 30 anni in latitanza. Oggi, l’impegno della Procura di Palermo è quello di individuare chi ha favorito Messina Denaro. La malattia non aveva cambiato le abitudini del latitante“.

Ha poi aggiunto la probabile resistenza dell’organizzazione mafiosa Cosa Nostra, sopravvissuta a duri attacchi dallo Stato: “Cosa Nostra ha subito colpi importanti, è stata indebolita ed è più povera, ma le famiglie provano sempre a riorganizzare un organismo di vertice e soprattutto ad arricchirsi nuovamente, attraverso il traffico di stupefacenti“.

Pochi giorni fa invece, è cominciato il processo ad Alfonso Tumbarello, medico che è stato accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e falso in atti pubblici: avrebbe scritto dei certificati falsi per poter curare Messina Denaro sotto il prestanome di Andrea Bonafede. L’Ordine dei medici di Trapani si è costituito per la prima volta nella storia parte civile contro un suo iscritto, presunto colpevole di aver curato un boss mafioso conscio della sua identità.