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Luca Romanin, addio a 26 anni: il lungo calvario dopo l’incidente sugli sci e l’abbraccio di una comunità

amore infnito – fonte_Freepik.com – Spynews.it

Si è spento a 26 anni Luca Romanin, rimasto gravemente ferito in un incidente sugli sci in Alta Badia. Accanto a lui, fino all’ultimo, la compagna che aveva lasciato il lavoro per stargli vicino. La storia di un ragazzo amato e di una comunità che non ha mai smesso di sperare.

Dal giorno dell’incidente alla lotta quotidiana: mesi di cure, silenzi e piccoli segnali

Il destino di Luca Romanin è cambiato in una giornata d’inverno, quando una caduta sugli sci in Alta Badia lo ha proiettato in un tempo sospeso fatto di sale d’ospedale, terapie e attese interminabili. Da allora, la sua vita e quella dei familiari si sono intrecciate con il linguaggio della riabilitazione: fisioterapia, controlli periodici, la ricerca di una stabilità clinica che permettesse nuove tappe di recupero. Non è mai stata una strada lineare. A momenti di incoraggiante risposta seguivano fasi più difficili, con il peso dell’incertezza a misurare ogni giorno.

Il racconto di questi mesi è fatto di gesti minimi che diventano conquiste: una mano che stringe, uno sguardo che sembra riconoscere, una parola sussurrata. Intorno a Luca si è coagulata una rete di persone — familiari, amici, operatori sanitari — che hanno tenuto accesa la fiamma della speranza. In questa geografia del dolore, la presenza della compagna è stata l’ancora più solida: ha lasciato il lavoro per stargli accanto, trasformando la vita in una routine di cura, di supporto pratico e di tenerezza quotidiana. È la parte meno raccontata delle cronache, ma è quella che spiega perché certe storie, anche quando non si chiudono come vorremmo, lasciano una traccia profonda nella comunità.

Con il passare delle settimane, la traiettoria clinica non ha restituito lo slancio necessario. Eppure, fino all’ultimo, l’orizzonte è rimasto quello del “domani possibile”: un passo in più, una complicazione in meno, un equilibrio che si consolida. La notizia della scomparsa ha interrotto quel filo sottile, lasciando dietro di sé una scia di silenzio e di domande. Non ci sono risposte semplici quando se ne va un ragazzo così giovane; restano i volti, le parole condivise, i piccoli riti che tengono unita una comunità nei momenti più fragili.

Sciatore sulla posta – fonte_freepik.com

Il cordoglio della comunità e il senso di una memoria che non si spegne

La morte di Luca ha scosso profondamente gli ambienti che aveva attraversato: gli amici di sempre, i compagni di scuola, chi lo aveva incrociato sulle piste e chi lo aveva sostenuto nei mesi dell’attesa. In poche ore sono comparsi messaggi, ricordi, fotografie: frammenti di una vita normale e piena, che dicono più di qualsiasi etichetta. Le parole scelte sono quelle della delicatezza: “ragazzo buono”, “sorriso pulito”, “energia discreta”. È il lessico che le comunità recuperano quando c’è bisogno di restare umani e di dare un senso a ciò che il senso sembra negarlo.

In mezzo al dolore, c’è anche la gratitudine. Per chi ha curato senza sosta, per chi ha ascoltato e ha fatto spazio, per chi ha donato tempo e competenze. La famiglia ha affrontato un percorso durissimo: ore di attesa, decisioni difficili, l’altalena emotiva tra speranza e paura. Eppure, tra le pieghe di questa prova, si è vista la forza discreta di un legame che non cerca applausi. La scelta della compagna di restare accanto a Luca, rinunciando al proprio lavoro, non è un gesto eroico da copertina: è la traduzione concreta di una promessa, la forma più semplice e più rara di amore.

Nei prossimi giorni, la città si raccoglierà per l’ultimo saluto. Sarà il momento del silenzio, della vicinanza, dei fiori e delle mani che si stringono. Ma la memoria non abita solo le cerimonie: vive nei luoghi quotidiani, negli amici che si ritrovano, nelle iniziative che possono nascere per ricordare Luca con progetti utili, magari legati alla sicurezza in montagna o al sostegno alle famiglie che affrontano percorsi simili. Dare un seguito al dolore, trasformarlo in cura per altri, è spesso l’unico modo per non sentirsi sconfitti.

In questa storia non ci sono moralismi, solo la constatazione che la montagna è splendida e severa, e che lo sport, per quanto familiare, resta un campo in cui il rischio non si azzera mai. È giusto continuare ad amarla e a frequentarla con rispetto, con attenzione, con consapevolezza. Luca Romanin lascia una ferita che non si chiude facilmente, ma anche un invito muto a guardare gli altri con più gentilezza. A chi resta, il compito di custodire il suo nome con gesti semplici e concreti: la memoria come forma di responsabilità, il ricordo come promessa di prendersi cura degli altri.

Oggi è il tempo delle lacrime e dell’abbraccio. Domani, sarà il tempo di far vivere ciò che Luca ha rappresentato per chi lo ha amato. Perché i ventisei anni che ha avuto non si misurano solo in giorni: si misurano nella luce che ha lasciato nelle persone che, per un tratto di strada, hanno camminato con lui.

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